Il segno del notaio
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Il segno del notaio


Nella società medievale ebbe importanza la figura del notaio. Non solo all’epoca, precisiamo: la ottenne in tutti i tempi, anche in quelli di oggi, per la validità e la forza di legge che il segno, il sigillo, il timbro e la registrazione pubblica da lui usati conferivano e conferiscono ai documenti. Nel Medioevo però la considerazione fu “speciale” e quasi riverente.
Essendo l’epoca anche “corporativa”, il notaio fece riferimento per obbligo a un’Arte, che naturalmente fu “maggiore”, e ebbe i suoi libri matricolari dove lo iscrisse in ordine cronologico, con il signum tabellonarie di cui si sarebbe servito, accompagnato dalla sottoscrizione e dalla qualifica corrispondente all’autorità che aveva concesso il privilegio di nomina, imperiale o di conte palatino.
Prima di immatricolarsi però il notaio doveva studiare per circa due anni. Si sottoponeva quindi a un esame nel quale era tenuto a dimostrare di saper bene il latino, di essere in grado di trasporlo negli atti, di conoscere di che cosa si parlava. Dopo l’ammissione poteva redigere atti a richiesta delle parti o rendere fedele testimonianza, il tutto con il suo formulario.
In generale il notaio fu un uomo di alta cultura che a volte si interessò di letteratura o entrò in politica e nella pubblica amministrazione dove giunse a ricoprire cariche di massimo profilo.
La sua figura ideale fu quella di un uomo modello, portatore di tutte le qualità umane. In realtà ebbe le proprie caratteristiche a seconda dei casi e degli animi. Il Boccaccio nel Decamerone, giornata I novella I, ne ricorda uno come “il piggiore uomo forse che mai fosse nato”.

I notai del medioevo, dicevamo, corroborarono i loro atti con il signum che oggi si può ancora vedere nei documenti degli archivi. Era un piccolo disegno di qualsiasi tipo, fatto con brevi tratti di penna. Di molti se ne apprezza l’eleganza e la rassomiglianza con le miniature.

Per farne un esempio, è interessante trovarne alcuni una sola pergamena del Diplomatico del Comune di Volterra del 1014. Si tratta della copia di un privilegio scritto a Roma dalla cancelleria di Enrico II imperatore, che qui fu incoronato tale il 14 febbraio dello stesso anno.
Tale concessione ebbe come destinatario Adelmo, abate del monastero di San Pietro a Palazzuolo di Monteverdi Marittimo (parte meridionale della provincia di Pisa), fondato già nel secolo VIII e oggi non più esistente. A lui l’imperatore confermò il diritto regio dell’istituzione e concesse tutti i beni, corti, chiese, ancelle, aldiane etc. descritte, sotto pena per l’inadempienza di libbre 10 d’oro “cotto” (non in monete), metà da versare alla camera reale e metà al monastero.
La pergamena è sciupata in varie parti. Tuttavia vi si leggono ancora i nomi delle corti:
– di Rio con la cappella di Santa Maria nel contado di Populonia [luogo tra le province di Livorno, Pisa e Grosseto]
– di Cisterna [ignoto]
– di Caldana [Campiglia Marittima]
– di Sala (***) di Castagneto con la chiesa di San Colombano [Castagneto Carducci]
– di Asilatto con gli oratori di San Vito e Donato [piano di Cecina fino a Populonia]
– di San Matteo di Lucca
– di Porto Offi [sul Serchio]
– di Visignano con San Salvatore di Versilia [verso Pietrasanta]
– di Patrignone e Montebono [Querceto].



In mezzo alla pergamena mostra la sua imponenza e raffinatezza il sigillo dell’imperatore con la scritta:
– in alto: “Signum domini Henrici serenissimi et invictissimi imperatoris auctoritate” (segno dell’autorità del signore Enrico serenissimo e invittissimo imperatore).
– in basso: “Henricus cancellarius vice Curradi episcopi et archi capellani recognovit” (Riconobbe-emendò Enrico per conto del vescovo Corrado e dell’arcicappellano).
Seguono le attestazioni senza signum di:
– Guglielmo Ruggerini, giudice e notaio, che lesse e autenticò la bolla plumbea da dove era stato copiato l’atto, nella quale vi era l’immagine di un uomo coronato, dal petto in su, con una croce fatta “ad modum floris”, con circoscritto il nome dell’imperatore.
– Bonaredita Ildini, giudice e notaio, che descrisse la bolla con il filo o correggia pendente con il nome a figura di uomo, “sine vitio et rasura” ... e che affermò essere stata trascritta senza frode da Ugo giudice.
– Ugo Bencivenni, giudice e notaio, che vide, lesse e riconobbe l’immagine di un uomo dal petto in su, con corona e scettro in mano e una iscrizione che circondava una croce: ‘Henricus D. G. Romanorum imperator augustus’ e in altra parte del cerchio 4 lettere puntate di medio carattere che non si potevano riconoscere bene ... e che esemplò il privilegio “fideliter” et “diligenter”.

In coda, muniti dei rispettivi signa, le attestazioni di quattro giudici e notai, che lessero l’esemplare, ne sottoscrissero l’autenticità e lo pubblicarono in accordo tra loro. Dall’alto:
– “Ego Iacobus vocatus Muzzus filius Riccardi de Vulterra” ...
– “Ego Rogerius filius ser Benvenuti notarii de Vulterra” ...
– “Ego Bardus filius Gianelli domini Iacobi de Vulterra” ...
– “Ego Albertus quondam Iacobi de Vulterra” ...

Un atto di ser Bardo di Giannello documentato nel 1317 ci fa datare la copia del privilegio in questo decennio o in quelli vicini.

Paola Ircani Menichini, 21 agosto 2020. Tutti i diritti riservati.